Mohammed Kacimi: la costruzione di un nuovo immaginario mediterraneo

«L’artista africano è il traghettatore della sua storia con tutte le sue complessità, trascendentalità, ritualità, straordinarietà. Davanti alle mutazioni, alle repressioni locali e internazionali, alla miseria e alle aberrazioni politiche, davanti alla tirannia in tutte le sue forme, comprese quelle della sua stessa tradizione, lui è l’archeologo del tempo, degli strati, dei segni dalle origini fino ai giorni nostri… in presa diretta con gli avvenimenti.»

«Parlo la lingua dell’Arte come si dice “parlo la mia lingua madre”. Io che sono multiplo culturalmente, sono africano, orientale, occidentale, un incrocio vissuto come grafo, segni, materiali di conoscenza. Sono un viaggiatore ellittico che disegna la traiettoria del caos e il senso della dignità.»

A Marsiglia, al Museo delle civiltà dell’Europa e del Mediterraneo (MuCEM), si terrà fino al 3 marzo 2019 un’esposizione dedicata a Mohammed Kacimi («Kacimi 1993-2003, une transition africaine»), uno dei più grandi artisti figurativi marocchini del dopoguerra, semisconosciuto in Occidente ma celebrato in Marocco e nel mondo arabo in generale. In particolare, la mostra si concentra sul periodo che va dal 1993 al 2003, anno della sua morte, in cui il pittore si è consacrato alla realizzazione di opere di ispirazione subsahariana. L’esposizione è accompagnata dalle canzoni del musicista gnawa Majid Bekkas (che puoi ascoltare qui), amico e collaboratore artistico di Mohammed Kacimi.

La vita

Mohammed Kacimi nasce a Meknès nel 1942. Da bambino, assiste alle varie contestazioni e manifestazioni che precedono l’insurrezione per l’indipendenza del Marocco, che avverrà nel 1956. Si dedica alla pittura fin da giovanissimo, tant’è che tra il 1964 e il 1967 tiene le sue prime esposizioni in Marocco, seguite poi da altre mostre sia in Africa che in Europa. Nel corso della sua vita frequenta diversi intellettuali marocchini, come Mohammed Bennis, Abdelkebir Khatibi, Abdellatif Laabi, Adonis, ed europei, come Pierre Restany e Pierre Gaudibert. Mohammed Kacimi è stato molto attivo sia da un punto di vista artistico che politico, appoggiando la lotta palestinese e fondando diverse associazioni in Marocco.

Il rapporto con l’arte e l’Africa

Mohammed Kacimi è stato un artista poliedrico, che si è dedicato non solo alla pittura, ma anche alla letteratura, al teatro, alla danza e alla musica; anche se lui stesso ha ammesso: «non smetto di allontanarmi dalla pittura, per poi ritornarci come gesto estremo».

L’artista ha usato la sua arte per impegnarsi da un punto di vista sociale e politico, soprattutto per sradicare l’arte marocchina e araba in generale dal monopolio del canone europeo, ispirando molti giovani artisti magrebini.

Il pittore si è allontanato dall’arte europea per abbracciare quella africana, in particolare quella subsahariana, di cui gli interessavano enormemente i valori e i simboli. Si è lasciato ispirare, quindi, dalla tradizione orale e dalla struttura metaforica del pensiero e della retorica coranica. Il suo cosiddetto «periodo africano» è iniziato nel 1993 con l’esposizione-installazione Grotte des temps futurs, che presentava una forma artistica inedita in Marocco, di cui oggi non restano che poche tracce.
L’installazione era situata in ambiente totalmente blu, scelta «non estetica, ma piuttosto una messa in discussione… cancellare per riprendere», in cui si trovavano manichini, televisioni con immagini disturbate o con un punto interrogativo dipinto sullo schermo, ritagli di giornale incollati al muro, bare, macchine da scrivere, volantini strappati, estratti di testi, immagini di guerra e violenza, ritratti di artisti, intellettuali, politici, dittatori, scienziati, ecc.
Il messaggio della Grotte des temps futurs era un’invettiva contro gli eccessi, quelli delle società occidentali o in via di industrializzazione, delle ideologie e gli abusi dell’economia, delle misure scientifiche irragionevoli, dei conflitti politici, e in generale contro la violenza che subiscono uomini e ambiente. Per questo, Mohammed Kacimi ha accumulato «tutti i rifiuti del XX secolo, causa del caos verso il quale si dirige il mondo», con la speranza di insorgere contro l’acculturazione occidentale che stava distruggendo il suo Paese, facendo diventare la società marocchina una società di consumo.

Mohammed Kacimi
Kacimi 1993-2003, une transition africaine al Mucem – Senza titolo, 1993 – La Grotte des temps futurs

La mostra

Gli stili dei quadri presenti nell’esposizione «Kacimi 1993-2003, une transition africaine» sono essenzialmente due. Da un lato, ci sono quelli di ispirazione subsahariana, raggruppati sotto il titolo di Le Temps des conteurs, che si rifanno alle tradizioni orali e di origine coranica, in particolare alla leggenda islamica dei sette dormienti di Efeso raccontata nel Corano e risalente al XIII secolo. Mohammed Kacimi si propone in quanto narratore di queste tradizioni, che «avvicina mondi sconosciuti a mondi conosciuti, e il meraviglioso, il razionale e il religioso coabitano in lui senza vergogna». Questi quadri, tutti dipinti tra il 1993 e i primi anni del 2000, indicano l’inizio del «periodo africano» dell’artista, in cui egli ha rappresentato le zone desertiche del Marocco, dell’Algeria, della Libia e dei suoi successivi viaggi in Senegal, in Mali e in Benin.

Mohammed Kacimi
Kacimi 1993-2003, une transition africaine al Mucem, in basso L’Oracle des temps, Bourges, 1996

Dall’altro, ci sono una decina di opere che rimandano all’installazione Grotte des temps futurs. In sostanza, si tratta di un collage di titoli o articoli di giornale, riviste, vignette, foto di temi di attualità. Osservando le varie componenti dei collage, si nota come queste fossero state scelte per denunciare la realtà dell’epoca, ahimè non così diversa da quella odierna. Guardando più da vicino questi enormi collage, infatti, si scoprono titoli e articoli di giornale in francese e in arabo, foto di vari personaggi politici e immagini provocatorie, tutti elementi volti alla denuncia e alla provocazione di emozioni forti e di indignazione per le vicende storico-politiche di quegli anni.

Le parole dell’artista

Mohammed Kacimi riflette molto sul ruolo dell’artista e sui valori della trasgressione, dello statuto dell’opera d’arte, della tradizione, delle pratiche artistiche e sociali. Ecco le sue riflessioni.

Sullo statuto dell’opera d’arte:

Si può parlare di ricerca della verità dell’artista. Ma quale verità? Quella del soggetto? Del colore? Dello spazio che offre il quadro (o l’oggetto finito)? Dello spazio di cui si appropria l’artista? Quella del suo gesto? La storia di cui si riempie la tela? Come quest’ultima diventa indipendente dall’artista e sfugge al suo controllo? Io non lo so. Riempio di domande il supporto che ho scelto. E cerco di far diventare illimitata la tela. Non mi interessa il gioco modernista che considera la pittura un prodotto chimico combinato in un certo modo. L’atto di dipingere acquisisce il suo senso reale solo nel mio essere, con tutte le sue complessità.

Trasgredire i codici:

Non ho mai voluto riallacciarmi all’etnico, all’esotico o al religioso, volevo solo lavorare sull’essenziale, vale a dire un atteggiamento creativo contemporaneo che contenga in sé la sua stessa forza di fronte al mondo e alle cose. Il mio lavoro si fonda sull’interculturalità e l’incrocio dei segni. Nel momento in cui dipingo lotto sempre per mantenere punti di vista differenti e per non essere l’ostaggio di una tradizione opprimente.

Trasgredire la cultura tradizionale:

Nella pittura araba, il gesto dell’avo si ripete, sia nella calligrafia che nella ripetizione di un tema. Imitare fedelmente quel gesto artigianale senza superarlo significa annullare sé stessi e un insieme di problemi sociali, economici e politici inerenti alla propria epoca. E, infine, parlare a nome dei morti è la negazione stessa dell’essere creatore. Disfaccio gli arabeschi, i motivi floreali, i nodi astratti dell’islamismo. Ogni momento deve fare spazio a una necessità nuova. È un po’ troppo semplice restare nel passato e ricavarci qualche segno… Più semplice che provare a definire un progetto aperto a una cultura legata alle preoccupazioni attuali di una società in situazione di conflitto, di crisi e di cambiamento.

Andare verso l’Africa:

Il viaggio nel deserto africano si annuncia come un viaggio nel segreto. Quest’esperienza invita, attraverso lo sguardo, alla percezione sensibile di tutto quello che la nostra epoca ha perso. Un’esperienza estetica alla ricerca di un tempo rimasto “incorrotto”.

Uscire dall’atelier:

Se c’è una storia ufficiale del Marocco, quella del popolo non è stata scritta. La voglia di lavorare fuori dall’atelier e il piacere di dipingere in pubblico vengono innanzitutto da questo. Dipingere su un muro, per esempio, significa riversarsi dal quadro alla strada. Aprire il tuo atelier ai visitatori vuol dire aprire le porte chiuse su te stesso, sulle tue esperienze artistiche. Autorizzi un dialogo sprovvisto di quelle ambiguità che non hanno nulla a che fare con la creazione.

Ecco invece la traduzione di una delle sue poesie, esposte al MuCEM:

L’Io si ricorda
della sua caduta
dal ventre dell’Atlas
La notte spirale
porpora
blu
stretto alla criniera scura
L’Io lecca la luce

il coito tra noi
come un’adeguazione
tra
la notte e
la via lattea

il cedro emerge
dal mio corpo
l’acqua dai tuoi occhi

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