L’ibridismo linguistico nei romanzi di Ahmadou Kourouma

Ahmadou Kourouma, nato nel 1927 in Costa d’Avorio e morto a Lione nel 2003, è stato un testimone diretto prima della colonizzazione francese e poi, nel 1960, dell’indipendenza del suo paese. Tra le esperienze più forti vissute dall’autore c’è sicuramente l’espulsione nel 1945 dall’École technique supérieure di Bamako, in quanto accusato di aver avuto un ruolo maggiore durante una manifestazione studentesca indipendentista. A titolo disciplinare, venne spedito dal 1950 al 1954 in Indocina come tiratore scelto. Non sorprende, quindi, se all’interno delle sue opere, il tema della colonizzazione giochi un ruolo preponderante, affrontato non solo in quanto imposizione fisica dei francesi sul territorio africano, ma anche in quanto imposizione culturale e linguistica.

La colonizzazione e la lingua

Ahmadou Kourouma, come ogni membro di una cultura “dominata”, non ha accettato passivamente la lingua che gli veniva imposta. Al contrario, ne cambia le regole, reinventando un nuovo francese letterario, manipolandolo a sua guisa e creando così una lingua che può, sì, essere identificata col francese, ma da cui se ne distacca attraverso una sintassi e un lessico che ricordano il mandingo, lingua parlata per l’appunto nell’Africa occidentale. Del resto, l’autore, all’interno del saggio Les processus d’Africanisation des langues européennes, tiene a precisare che o i Malinke rinunciano alla loro africanità oppure “ricorrono al processo di africanizzazione delle lingue europee”. Kourouma, posto anche lui di fronte a questa scelta, decide di non rinunciare alla sua africanità neanche nel ruolo di scrittore, mettendo in pratica diversi metodi per “africanizzare la lingua europea” all’interno dei suoi romanzi.

Il bisogno di comunicare in una lingua terza deriva dalla necessità di esprimere un certo ibridismo culturale, come lo afferma lo stesso autore:

Sono di etnia malinke, di nazionalità ivoriana, quindi negro-africano. La letteratura della mia lingua materna è orale. La mia cultura di base è l’animismo. Scrivo in francese. La lingua francese è la seconda lingua del mio paese, ed è ufficialmente la mia lingua nazionale. Il francese è una lingua disciplinata, educata attraverso la scrittura e la logica, e il cui substrato è la cristianità. La mia lingua madre, la lingua in cui penso, ha conosciuto solo la grande libertà dell’oralità; poggia le sue basi su una cultura animista. Ecco in quali termini si pone, per me, la questione linguistica. Il mio primo problema in quanto scrittore, scrittore francofono, è quindi innanzitutto una questione di cultura. Di cultura, dal momento in cui la mia religione di base è l’animismo, l’animismo africano, mi trovo in una stato di grande confusione terminologica con le espressioni francesi che utilizzo.[1]

Quindi, se la cultura di Kourouma è ibrida, ecco che lo diventa anche la lingua della narrazione. Specchio del meticciato culturale che rappresenta, la lingua utilizzata da Kourouma è a metà strada tra il francese e il mandingo:

Certe prodezze stilistiche del romanziere ivoriano, certe costruzioni inesatte di certo volontarie, l’audacia visibilmente intenzionale nella messa in pratica di certi errori grammaticali, la volontà tenacemente determinata di trasporre la lingua malinke in una lingua straniera educata attraverso l’uso della scrittura da secoli, non costituiscono prove sufficienti per riconoscere che Ahmadou Kourouma è alla ricerca di uno stile degno della sua doppia cultura […]?[2]

Il rapporto con la lingua francese

La lingua madre di Kourouma è il mandingo e i personaggi di cui ci racconta nelle sue opere sono Malinke di cultura malinke. Chiedersi perché Ahmadou Kourouma scriva in francese, quindi, sembra essere più che lecito.  Lo stesso autore risponde a questa domanda durante un’intervista del 1999:

La verità è che non avevo scelta. Non potrei esprimermi in nessun’altra lingua. L’inglese lo conosco molto poco. L’arabo non l’ho mai imparato. A scuola mi hanno insegnato solo il francese e mi era vietato parlare la mia lingua madre, il mandingo, come a tutti quelli che andavano a scuola prima della decolonizzazione. Quindi ho dovuto utilizzare il francese per descrivere personaggi e storie dell’universo e della realtà malinke.[3]

Sebbene la lingua meticcia utilizzata da Ahmadou Kourouma sia il riflesso della sua cultura, il processo che l’ha portato a impiegare questo idioma nei suoi scritti non è stato poi così conflittuale come potremmo pensare. Ciò che si nasconde dietro questa scelta si trova nell’interesse di Kourouma:

di riprodurre il modo di essere e di pensare dei miei personaggi, nella loro totalità e in tutte le dimensioni. I miei personaggi sono Malinke. E quando un Malinke parla, segue la sua logica, il suo modo di approcciarsi alla realtà. Ora, questa non è uguale a quella francese: la successione delle parole e delle idee, in mandingo, è diversa. Tra il contenuto che descrivo e la forma in cui mi esprimo, c’è una grande distanza […]. Lo ripeto, il mio obiettivo non è formale o linguistico. Quello che mi interessa è la realtà. I miei personaggi devono essere credibili e, per esserlo, devono parlare nel testo come lo farebbero nella loro stessa lingua.[4]

Quindi ciò che ha portato Kourouma a utilizzare un francese non-standard non è tanto uno spirito di ribellione conclamato, ma piuttosto la sua volontà di creare un legame tra la sua scrittura, in francese, e la realtà malinke.

Il riconoscimento di una nuova lingua ufficiale

Alcuni studiosi affermano che il contatto tra due lingue diverse, soprattutto se intenso e prolungato, possa portare alla nascita di una terza lingua, originata dalle due precedenti, dalle quali, però, essa si distacca sufficientemente per possedere lo statuto di una nuova lingua.

Lo scopo di Ahmadou Kourouma, quindi, potrebbe indirettamente essere proprio il riconoscimento ufficiale dell’esistenza di più lingue che, derivanti dal francese dell’Esagono, hanno subito modifiche tali da essere diventate delle lingue a sé stanti:

Queste lingue [quelle dell’ex-colonizzato e dell’ex-colonizzatore] potranno essere così distanti le une dalle altre, che finiranno con l’avere identità e nomi differenti. Solo allora l’ex-colonizzato avrà terminato la capanna che ha cominciato a costruire nella lingua dell’ex-colonizzatore da quando è stato costretto a comunicare con l’europeo. Diventerà così la sua capanna, la sua lingua.[5]

Margaret Petrarca

[1] Ahmadou Kourouma, Écrire en français, penser dans sa langue maternelle, Études françaises, Volume 33, numéro 1, printemps 1997, p. 115 (traduzione mia).
[2] Makhily Gassama, La langue d’Ahmadou Kourouma ou Le français sous le soleil d’Afrique, Paris, Éditions Karthala et ACCT, 1995 p. 43 (traduzione mia).
[3] Lefort René et Rosi Mauro, Ahmadou Kourouma, ou la dénonciation de l’intérieur, in Courrier de l’Unesco, Mars 1999, pp. 46-49 (traduzione mia).
[4] Ibid. (traduzione mia).
[5] Kourouma Ahmadou, Le processus d’Africanisation des langues européennes, in Littératures africaines : dans quelle(s) langue(s) ?, Yaoundé, SILEX / Nouvelles du Sud, 1997, p. 139 (traduzione mia).

Romanzi di Ahmadou Kourouma pubblicati in Italia:

I soli delle indipendenze, Edizioni e/o, 2005
Monnè, oltraggi e provocazioni, Epoché, 2005
Allah non è mica obbligato, Edizioni e/o, 2002
Aspettando il voto delle bestie selvagge, Edizioni e/o, 2001

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