Recensione, La libreria della rue Charras

Al Salone Internazionale del Libro di Torino ho avuto l’occasione di conoscere Kaouther Adimi, autrice di La libreria della rue Charras (L’orma Editore, 2018; traduzione a cura di Francesca Bononi), oltre a uno dei suoi editori e la sua traduttrice. Qualche giorno dopo, ho pubblicato la prima traduzione di un racconto sul blog, scritto proprio da Kaouther Adimi, di cui avevo avuto i diritti molto tempo prima. Così, per chiudere il cerchio, mi è parso essenziale pubblicare come prima recensione quella del romanzo La libreria della rue Charras.

La libreria della rue Charras, al di là di essere un semplice romanzo, rappresenta un’occasione per ricordare parti di una Storia che rischiano di essere dimenticate. Il racconto, costruito a incastri, si sviluppa secondo tre assi. Uno è situato in un’Algeri contemporanea che rivolge lo sguardo al suo passato coloniale; un altro, sospeso tra Algeria e Europa a cavallo tra il 1930 e il 1961, racconta la storia dell’indipendenza algerina; un altro ancora è quello dei diari di Edmond Charlot, che nel 1936 fonda ad Algeri la libreria, nonché casa editrice, Les Vraies Richesses.

La parte di narrazione che si svolge nel presente racconta della chiusura della libreria Les Vraies Richesses, divenuta in realtà una succursale della Biblioteca di Algeri. Il nuovo acquirente del locale, per smantellarlo, si rivolge a Ryad, che accetta l’incarico solo perché ha necessità che il lavoro gli venga riconosciuto come tirocinio. Il ragazzo non conosce la storia della libreria e, all’inizio, non se ne interessa minimamente: innanzitutto, a lui non piace leggere; inoltre, lui è lì solo per sbrigare il suo lavoro e tornare a Parigi, dove lo aspetta la sua ragazza. Ryad, però, fa la conoscenza degli abitanti della rue Charras, diventata oggi rue Hamani, e in particolare di Abdallah, l’anziano signore che lavorava nella libreria. Questi gli narrano la storia della Les Vraies Richesses, e così, poco a poco, Ryad inizia a capire il valore di quanto lo circonda e soprattutto quello dei libri che era stato incaricato di gettare, al punto che

“Non si sente più tanto giovane. Ha la testa piena di tutte le storie che gli ha raccontato Abdallah. Piccole storie, dense e pesanti, che prese tutte assieme compongono il quadro della grande Storia” (p. 186)

Attraverso la conoscenza di questi personaggi, Ryad entra infatti in contatto sia con la storia della libreria Les Vraies Richesses, sia con quella della colonizzazione dell’Algeria, a cui si aggiungono le pagine dedicate agli anni chiave del ‘900 che l’hanno portata all’indipendenza. Queste ci vengono raccontate da una voce plurale, quella del popolo, tant’è che la voce narrante spesso è il “noi”. L’autrice si erge a portaparola di tutti gli algerini, del passato e del presente, procedendo dal festeggiamento del Centenario della colonizzazione algerina, nel 1930, che altro non è che un’ “occasione per affermare ancora una volta l’autorità coloniale” (p. 28), all’indipendenza del Paese, avvenuta nel 1961. Passa, poi, anche attraverso la Seconda guerra mondiale, in cui gli “indigeni” vengono arruolati dalla Francia per lottare insieme alla “madrepatria”. Immedesimandosi, Kaouther Adimi scrive:

 “[D]iventiamo un po’ francesi, ma mai del tutto […] preghiamo qualsiasi dio e in qualsiasi lingua. Ci battiamo per questo Paese come se fosse il nostro” (p. 82)

Accanto alla narrazione del processo storico che ha portato l’Algeria all’indipendenza, si sviluppa parallelamente la storia dei diari di Edmond Charlot, in cui racconta della nascita della sua libreria. Questa va di pari passo con quella del Paese, subendo le stesse crisi, gli stessi limiti, ma ribadendo anche la stessa voglia di affermarsi e di contribuire allo sviluppo di un’identità mediterranea. Scorrendo le pagine in cui i personaggi sono alle prese con la guerra, il romanzo diventa un chiaro esempio di quanto alcune scelte politiche si riflettano sulla quotidianità della nostra vita. Difatti, Edmond Charlot, costretto ad abbandonare Algeri per arruolarsi in Francia, decide di estendere la propria casa editrice anche a Parigi e qui dovrà far fronte a diversi problemi, tra cui quello della carenza di carta, di cui va alla ricerca con la stessa ossessione in cui, decenni prima, Zeno continuava a fumare la sua ultima sigaretta.

Leggendo i frammenti dei diari di Edmond Charlot, ci si rende conto del ruolo fondamentale che la sua casa editrice, di cui “[i]l vero motore […] è l’amicizia” (p. 88), ha svolto in quel periodo storico. Se il romanzo vuole far riaffiorare alla memoria la storia coloniale dell’Algeria, il perno da cui si muove è la Letteratura. Kaouther Adimi scrive un romanzo, un saggio storico e, allo stesso tempo, un elogio alla grande letteratura mediterranea di quegli anni. La sua opera dimostra come un impianto artistico solido e coinvolto possa essere il motore di grandi rivoluzioni, che alcuni avvenimenti non sono dettati dal caso, ma derivano da una forza motrice capace di cambiare le sorti del mondo. Così, La libreria della rue Charras rispolvera la nostra memoria su nomi di una certa importanza: a quelli immancabili come Camus, si uniscono quelli di Grenier, Roblès, Audisio, Temple, e molti altri.

Kaouther Adimi non ci parla solo della storia dell’Algeria e quella della Les Vraies Richesses, legata indissolubilmente alla figura di Edmond Charlot. L’autrice, che ora vive a Parigi, racconta anche di Algeri, la sua città d’origine di cui è, a mio avviso, immensamente innamorata. Quest’idea mi aveva sfiorata già mentre traducevo Le sixième œuf, in cui Algeri viene presentata nelle sue più disparate sfaccettature, spesso misteriose o ambigue. Nel romanzo, invece, sebbene la morbosità delle descrizioni sia ancora presente, mi pare che Kaouther Adimi abbia voluto soffermarsi sui fermenti positivi della sua città d’origine. La sua è una lunga lettera d’amore per Algeri, che, al di là di tutto, redime dinanzi alla sua passione vorace, al suo spirito combattivo e condiviso. Così, la città si tinge di un azzurro simbolo di vita,

“E l’azzurro sopra la testa e ai tuoi piedi, un celeste che si tuffa nell’oltremare, macchia oleosa che si spande all’infinito” (p. 12)

Kaouther Adimi, nel capitolo iniziale e quello finale del romanzo, ci dà le indicazioni per raggiungere la Les Vraies Richesses. Il suo, più che un invito, sembra essere un appello.

“Ci andrai alla Les Vraies Richesses, vero?” (p. 187)

“Un giorno ci verrai, al 2 bis della rue Hamani, vero?” (p. 189)

Andare, venire alla Les Vraies Richesses, attraversare la vecchia rue Charras, significa percorrere la storia di Algeri, o quantomeno quella che dal 1930 l’ha portata dov’è oggi. Rue Charras, oggi rue Hamani, ci attende, pronta, ancora una volta, a raccontarci del potere dell’amicizia, dell’indipendenza e della Letteratura. Ciò che dobbiamo fare è farla entrare nel nostro cuore, facendolo esplodere d’un azzurro fitto di carta e d’inchiostro

Margaret Petrarca

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *